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Tutto ha inizio il 15 giugno 2015, in occasione della prima esecuzione moderna pubblica della Missa «In angustia pestilentiæ» per 16 voci e organo di Orazio Benevoli, per l’evento culturale «Barocco a Roma. La meraviglia delle Arti» promosso dalla Fondazione Roma[1].

Ho intrapreso l’avventura di addentrarmi nel mondo della policoralità romana, per me all’epoca ancora sconosciuta, se non per studio personale durante il corso di composizione organistica.

Conoscevo la sontuosa prassi veneziana dei Gabrieli, ma pochissimo di quella romana del Benevoli. La committenza per il concerto, realizzato nell’ambito del Festival di musica rinascimentale e barocca La Cantoria Campitelli, mi ha portato ad approfondire la conoscenza del periodo della  pestilenza romana del 1656 e scoprire la concomitanza con l’arrivo a Roma, un anno prima, della regina di Cristina di Svezia.

La composizione policorale era stata già trascritta in notazione antica dal grande  Laurence Feininger[2], dandomi la possibilità di visionare la musica più facilmente e cercare con la Paola Ronchetti di affinare il lavoro di ricerca musicologico e di trascrizione nel più breve tempo possibile.

Già dalle prime pagine della messa percepivo visivamente il contrappunto severo del ‘500 e l’innovativo ritmo ternario seicentesco, con elementi di contrappunto alla francese, come nel movimento delle parti a solo per soprano e alto del Christe.

Benevoli  ha la capacità di creare con la sua musica effetti mastodontici e solenni per inserirsi nella  grandezza degli spazi della basilica vaticana, ai quali era destinata l’esecuzione della composizione.

Orazio Benevoli fu uno dei più importanti compositori del barocco romano. Nato a Roma nel 1605, entrò dodicenne tra i pueri cantores della Chiesa di San Luigi dei Francesi, dove rimase fino al 1623. L’anno successivo divenne maestro di cappella a Santa Maria in Trastevere e, successivamente, a Santo Spirito in Saxia e a San Luigi dei Francesi. Nel 1644 si recò a Vienna, al servizio dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo.

Tornato a Roma, dopo essere stato maestro di cappella a Santa Maria Maggiore, il 7 novembre 1646 divenne direttore della Cappella Giulia in Vaticano, posto che conservò per più di venticinque anni, fino alla morte avvenuta il 17 giugno 1672. Fu sepolto in Santo Spirito in Saxia con una messa solenne, cui parteciparono tutti i musici della cappella. Fece anche parte della Congregazione di Santa Cecilia, la più importante accademia musicale romana istituita nel 1585 da papa Sisto V con il nome di Compagnia dei Musici di Roma, della quale fu primo guardiano nella sezione maestri negli anni 1654, 1665 e 1667.

Orazio Benevoli era stimatissimo dai contemporanei, in particolare dai musicisti: basti pensare ad alcune cronache del periodo in cui era maestro della Cappella Giulia.

Nel Diario della Basilica Vaticana dal 1660 al 1669, alla data del 29 giugno 1663, Giuseppe Balduini riporta ad esempio:

Il secondo vespero si cantò […] a tre Chori di Musica, che l’eccellentissimo Orazio Benevoli Maestro di Cappella fece tutti meravigliare con le sue opere, alle quali si poteva dare meritatamente il titolo di non plus ultra[3]

L’Orvietano Francesco Quadrani, nel suo Giornale Vaticano, il 18 novembre 1671 scrive:

il Sig.r Oratio Benevoli M.ro di Cappella fece cantare una Messa di Musica Superbissima composta nuovamente da lui, che per sentirla vi concorsero i primi virtuosi di tale professione che si trovano a Roma, da’ quali fu intesa con sommo applauso.

Durante la preparazione per il concerto dell’esecuzione della messa «In angustia pestilentiæ», prevista dalle cantorie della chiesa di Santa Maria in Campitelli, dopo la sistemazione dei cantori nelle cantorie (nella balconata di destra il primo coro e a seguire gli altri cori  nella balconata di centro e sinistra, con la cantoria centrale dove è ubicato l’organo monumentale), il primo pensiero tecnico esecutivo problematico era la distanza intercorrente tra le voci e il tactus dato dal direttore.

La difficoltà si è risolta con il  sistema del “Contate le Battute” come se si leggesse dai libri parte.  Infatti nel Seicento era la regola che i cantori leggessero dai libri parte e ogni singola voce aveva soltanto la sua linea melodica davanti. Oggi è prevalsa l’abitudine di leggere in partitura, un’esecuzione con le parti staccate è praticamente improponibile se non per la voce sola, infatti l’occhio e la scorretta abitudine dei cantori moderni richiede di avere ognuno la partitura completa, nonostante per questo genere di musica sia fonte di distrazione, secondo la mia esperienza.

La  prassi esecutiva dalle cantorie l’ho potuta sperimentare personalmente in diverse cantorie romane: da cantore della cappella musicale Pontificia Sistina, e precedentemente come cantore presso la cappella musicale Liberiana. Inoltre come cantore in altre chiese di Roma, presso cappelle musicali o gruppi formati per le occasioni più varie all’interno di celebrazioni in rito straordinario antico tridentino, fino all’attuale liturgia secondo il messale di Paolo VI. Ad ogni visita nelle diverse chiese e cantorie di Roma, ho trovato la storia del passaggio di illustri musicisti e cantori  segnata con piccoli graffiti nominali posti sulle  balaustre di legno delle  gelosie, nelle casse degli  organi o nelle pareti accanto al coro ligneo.

Le cantorie seicentesche romane sono generalmente piccole nelle basiliche o chiese costruite nella seconda parte del secolo; fatta eccezione per alcune che sono un po’ più grandi la maggior parte delle cantorie alloggiano un massimo di quattro, sei o otto cantori per cantoria, quindi la presenza dei cantori era molto limitata, costituivano piccoli organici ma con voci prestanti e piene, generose di armonici.

Nella Chiesa di Santa Maria in Campitelli, sono presenti quattro grandi cantorie, progettate per ascoltare forse la messa o per cantare. Solo nella cantoria a sinistra, collocata sopra la cappella Altieri, anche detta di San Giuseppe, la più preziosa di marmi e storia, nella gelosia sono presenti fregi che rappresentano strumenti musicali.

Nei Diari della casa di Campitelli si conserva un invito al popolo Romano a recarsi a partecipare alla liturgia cantata una  volta al mese in occasione dell’esposizione del Santissimo Sacramento con la macchina barocca e musica eseguita dalla balconate così come riporta una stampa del tempo conservata nell’archivio OMD[4].

In riferimento alla pratica della lettura musicale si ricorda il magnifico testo di Giovanni Andrea Angelini Bontempi su come istruire i giovani cantori e come i cantori fossero partecipi di tanta professionalità nella cappelle musicali, tanto da non dover provare prima e leggere mirabilmente a prima vista[5].

Io stesso ho un ricordo di alcuni cantori abituati a leggere a prima vista, circa venti anni fa ho conosciuto un cantore sistino giubilato, con una voce davvero splendida anche in tarda età. I racconti di queste figure del passato racchiudono l’esperienza vissuta nelle cantorie Romane: ricordo appena a Roma Otello Felici, Ezio Musumeci, da decano sistino qualche anno fa e fanciullo cantore nella scuola di San Salvatore in Lauro al tempo di Lorenzo Perosi sotto la guida di fratel Pacifico dei Fratelli delle scuole cristiane.

La disciplina ultima si rifà ai caratteri del passato per quanto riguarda il serio impegno che dovevano avere i piccoli cantori quando si adoperava il temuto Melo-Plasta, una lavagna con un pentagramma la chiave di do o di sol, diviso in tre battute: nella prima battuta era segnato un   bemolle ¯, nella seconda battuta  un bequadro Î e nella terza battuta un diesis ˜.

Il maestro pone una palla nera con un’asta che alza e abbassa sul pentagramma in base all’altezza del suono  che desidera ascoltare dall’allievo, obbligando a seguire gli intervalli di varie specie, da prima molto vicini e poi sempre più lontani; il maestro discosta continuamente il bastone per allenare la mente  e la velocità dell’allievo nell’esecuzione degli intervalli lontani.

Questo strumento per il giovane cantore era definito di tortura, ma un buon maestro usava tutte le tecniche trasmesse e acquisite dai maestri nelle scuole di canto e di contrappunto (a mente) nelle scuole di grandi Compositori e maestri di cappella romani venuti prima di lui, compreso  Orazio Benevoli. Dal Trattato di Giovanni Andrea Angelini Bontempi, si riporta uno spaccato dell’educazione del cantore[6]:

Le Scole [di canto] di Roma obligauano i Discepoli ad impiegare ogni giorno vn’hora nel cantare cose difficili e malaggi, per l’acquisto della esperienza; vn’altra, all’esercitio del Trillo; vn’altra in quello de ‘Passaggi; vn’altra negli studij delle Lettere; & vn’altra negli ammaestramenti & eserciti del Canto, e sotto il vdito del Maestro, e dauanti ad vno Specchio, per assuefarsi un non lontano moto alcuno inconuente, ne di vita, ne di fronte, ne di ciglia, ne di bocca.

E tutti questi erano gl’impieghi della mattina. Dopo il mezo dì s’impiegaua meza hora negli ammaestramenti interessi alla Teorica: vn’altra meza hora nel Contrapunto sopra il Canto fermo; vn’hora nel riceuere e mettere in opera i documenti del Contrapunto sopra la Cartella; vn’altra negli studij delle Lettere; & il rimanente del giorno nell’esercitarsi nel suono del Clauicembalo; nella composizione di qualche Salmo, o Motetto, o Canzonetta, o altra sorte di Cantilena, secondo il proprio genio. E questi erano gli esercitii ordinari di quel giorno nel quale io Discepoli non vsciuano di Casa. L’Esercitij fuori di casa, era l’andar spesse volte a cantare e sentire la risposta da vn’Echo fuori della Porta Angelica, verso Monte Mario, per farsi giudice da sé stesso dei propri accenti, l’andare un cantar quasi in tutte le musiche che si affrontano nelle Chiese di Roma; e l’osseruare le maniere del canto di tanti cantori insigni che fioriuano nel pontificato di Vrbano Ottauo; l’esercitarsi sopra quelle, e il renderne le ragioni al Maestro, quando si ritorna a una casa: il quale poi si imprimerà nella mente de ‘Discepoli, vi si troverà sopra i necessarij discorsi, e ne daua i necessarij auuertimenti. Questi sono stati gli esercitij, questa, [sic] la scola che noi sopra la musica armonica [ad es. la musica d’arte] habbiamo hauuto a Roma da Virgilio Mazzocchi, professore insigne, e Maestro di Cappella di S. Pietro in Vaticano; dato che nuoui lumi a questa Scientia; […].

Un’interessante immagine sulla situazione  a Roma fatta nel 1694 dal bolognese Giovanni Paolo Colonna rivela che tredici su venticinque cappelle considerate nel documento erano formate da soli quattro o cinque cantanti[7].

Si può supporre che una cappella permanente nella Roma del XVII secolo provasse e “studiasse” i programmi musicali per uso liturgico sotto la direzione del loro maestro, secondo le esigenze della liturgia occorrente. Non è così nel caso della grandi feste, durante le quali veniva eseguita musica policorale, anche se la maggior parte dei cantori musicisti extra di solito erano impiegati in pochi giorni prima dell’evento[8]. Come ha scritto Jean Lionnet[9], i Libri dei puntatori  della cappella papale confermano che i cantanti che partecipavano a produzioni musicali esterne alla cappella di appartenenza  venivano dispensati dalla presenza  non più di due giorni prima dell’appuntamento.

Nel caso di una rara esibizione di otto cori a S. Maria Maggiore nel 1667, sappiamo che il capitolo della basilica decise ufficialmente per la musica festiva il 3 luglio; la performance è avvenuta il 10 luglio. In questo piuttosto lungo periodo di preparazione, però, il maestro ha dovuto organizzare novanta cantanti e strumentisti.

I cantori sistini parteciparono a liturgie solenni anche all’interno della Chiesa di Santa Maria in Campitelli. Nel Diario di Francesco Leonardi[10] è contenuto il seguente l’avviso[11]:

MARTIVS Miseratione Divina Episcopus Albanen. S.R.E. Cardinalis Ginettus,

  1. D. N. Papæ Vicarius Generalis, Romanæque Curiæ, eiusque districuts

Iudex ordinarius Etc.

La Santità di N.S.Papa ALESSANDRO VII.

Concede Indulgenza plenaria, e remissione de peccati à tutti li fedeli Christiani dell’Vno, e l’altro sesso, li quali veramente pentiti, confessati, e comunicati interverranno alla Solenne Processione, che si farà Domenica prossima di Quinquagesima tre di Marzo ad hore 20. Con l’intervento della Santità Sua, de Capitoli delle Basiliche, Collegiate, e Clero Secolare, e Regolare dalla Chiesa di S. Maria d’Araceli à quella di S. Maria in Portico, ò vero visitaranno in detto giorno le dette Chiese, & ivi ringratiaranno Sua Divina Maestà della Sanità già perfettamente conceduta alla Città di Roma, e tutto lo Stato Ecclesiastico, pregando conforme la santa mente di Sua Beatitudine. In Roma li 28. Febraro 1658.

M.A. Episc. Hierapolitanus Vicesg. […]

IN ROMA, Nella Stamparia della Rev. Camera Apostolica. 1658.

Ecco come Francesco Leonardi riporta l’avvenimento[12]:

Martius 1658. D’ordine espresso della S.tà di N. S. si comandava a tutti li sig.ri Canonici delle Patriarchali, Collegiate, Curati Secolari, et Regolari, frati, et altri del Clero romano soliti a venire alla Processione di S. Marco, che Domenica prossima 3 di Marzo, debbono ritrovarsi a hore 20 con le solite musiche, nella chiesa di S. Maria di Araceli per intervenire alla solenne processione, che si farà con l’intervento di S. S.tà dalla d.ta chiesa a quella di S.ta Maria in Portico, et inviarsi la processione doi soprani di Ciaschd.o Cap[itu]li, e doi Regolari di ciasched.a Religione intoneranno l’hinno Te Deum Laudamus avanti l’altar maggiore di Araceli continuando il canto con dovuta pausa per la strada da significarseli in voce sino a d.a Chiesa di S.ta Maria in Portico, nella quale entreranno per la p.a Porticella e fatta la genuflessione all’Altar maggiore usciranno immediatamente senza fermarsi dall’altra porticella, […] in Roma li 28 Febraro 1658.

Il Papa venne accompagnato dai cantori sistini che arricchirono con il canto la funzione liturgica.

[…] tutti entrando cantavano il Te Deum, giunto il Papa con i Cardinali e genuflessi questi di qua e di là il Papa si fermò in fondo alla Chiesa sopra un tappeto et un cuscino quindi benedisse l’incenso e preso l’aspersorio asperse se e tutti di Chiesa et esso fu incensato dal Cardinal Francesco e in benedire l’incenso il Cardinal Francesco Vice Re […] teneva il turibolo, e il Cardinale Colonna p.o de preti la navicella, poi andò al suo genuflessero avanti la SS.ma Imagine, et i musici stando da una parte del Presbiterio a cornu epistola cominciorno il Te Deum  e questo finito disse l’Orazione  e poi impose con le sue mani la SS.ma Imagine e poi dissero i musici l’Antifona Sub tuum presidium […] [13]

Iniziarono subito i lavori per costruire il nuovo tempio da dedicare a Santa Maria in Portico, il progetto venne affidato all’architetto Carlo Rainaldi, che era tra l’altro musicista.

Come scrive Arnaldo Morelli alla fine del suo saggio su Carlo Rainaldi musicista e gentiluomo[14].

«la pratica musicale per Rainaldi non fu confinata in una sfera dilettantistica privata, ma rappresentò un “ornamento”, ovvero una delle “virtù” che gli consentirono di elevarsi dalla condizione di semplice professionista a quella di gentiluomo di corte, “amato e tenuto in grande stima da’principi”»

Ho voluto portare  il mio contributo di musico pratico. Sono convinto che la musica del Seicento debba essere eseguita dalle  cantorie, alla luce della mia esperienza .

In conclusione ritengo che il mondo della musica antica sia sufficientemente  maturo per poter proporre finalmente la musica del XVII secolo nei luoghi architettonici per i quali è stata creata.

Questo modello di esecuzione riuscirà a far rivivere all’uditore lo stesso effetto acustico che doveva avere ai suoi tempi.

 

 

[1] L’evento è stato organizzato dalla Fondazione Roma-Arte-Musei per la valorizzazione del patrimonio storico artistico e architettonico barocco della città e del territorio.

[2] Orazio Benevoli, Missa pro gratiarum actione «in angustia pestilentiæ» 16 vocum / Horatio Benevoli; prefatio Lorenzo Feininger, Mirabili arte composita primum in lucem edita secundum codicum fidem, [ Partitura], Romae: Societas Universalis Sanctae Ceciliae, 1963, Monumenta liturgiae polychoralis Sanctae Ecclesiae Romanae, ordinarium Missae cum quatuor choris: Serie 1/A; Orazio Benevoli, 3/1. Missa «in angustia pestilentiæ» 16 XVI vocum / Horatii Benevoli, [Partitura], Collezione: Monumenta liturgiae polychoralis Sanctae Ecclesiae Romanae. Horatii Benevoli Opera Omnia, tomus III N.1, Tridenti, Societas universalis Sanctae Ceciliae, 1973.

[3] Le parti dei Diari sono tratte dalla pubblicazione a cura di Paola Ronchetti: Orazio Benevoli Maestro di Cappella della Basilica di San Pietro (1605-1672), Missa in Angustia Pestilentiae a 16 voci (1656), edizione critica a cura di P. Ronchetti, Roma, IBIMUS, 2017, pp. XII-XIII. Si veda inoltre: Paola Ronchetti, “Vespri traditi, assassinati” I maestri della Cappella Giulia, Orazio Benevoli ed Antonio Masini, nelle fonti manoscritte del Seicento, in Nuova Rivista Musicale Italiana, Numero 3 Luglio / Settembre 2012, pp. 339-348.

[4] Paola Ronchetti, Canto polifonico e mottetto solistico a Roma, tra Seicento e Settecento, nella chiesa di Santa Maria in Campitelli, Polifonie e cappelle musicali nell’Età di Alessandro Scarlatti, Atti del Convegno internazionale di studi, in memoria di Roberto Pagano (Reggio Calabria, 2‑3 ottobre 2015), a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio

Calabria, Edizioni del Conservatorio di musica “F. Cilea”, 2019.

[5] Giovanni Andrea Angelini Bontempi, Historia Musica, Perugia, Pe’ l Costantini, 1695.

[6] G. A. Angelini Bontempi, Historia Musica, Op. cit., pag. 170.

[7] Si veda:  Oscar Mischiati, Una statistica della musica a Roma nel 1694, in «Note d’archivio Nuova serie», I ,1983, pp. 209-227.

[8] La stessa situazione è molto diffusa purtroppo anche oggi, infatti i cantori straordinari vengono convocati solo a ridosso della liturgia cantata.

[9] JEAN LIONNET, Les «Diari Sistini», sources importantes pour l’historie de la Chapelle Pontificale, in «Parve che Sirio…rimembrasse una florida primavera». Scritti sulla musica a Roma nel Seicento con un inedito, a cura di Galliano Ciliberti, Bari, Florestano Editori, 2018, pp. 35-56.

[10] Archivio OMD, LEONARDI P. FRANCESCO, 1609‑1661, Diario della Nostra Congregazione.

[11] L’avviso, conservato presso l’Archivio OMD,  è stato già pubblicato in: Paola Ronchetti, Canto polifonico e mottetto solistico a Roma, tra Seicento e Settecento, nella chiesa di Santa Maria in Campitelli, Op. cit., pag. 33

[12] Archivio OMD, LEONARDI P. FRANCESCO, 1609‑1661, Diario della Nostra Congregazione, Op. cit.

[13] Si veda: Paola Ronchetti, Canto polifonico e mottetto solistico a Roma, tra Seicento e Settecento, nella chiesa di Santa Maria in Campitelli, Op. cit.

[14] ARNALDO MORELLI, Carlo Rainaldi musicista gentiluomo: una riconsiderazione e qualche novità, in La Festa delle Arti. Scritti in onore di Marcello Fagiolo per cinquant’anni di studi, a cura di Vincenzo Cazzato, Sebastiano Roberto, Mario Bevilacqua, Roma, Gangemi Editore, 2014, I, pp. 454‑457.

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Vincenzo Di Betta

Le attività di concertista, insegnante, ricercatore e creatore di progetti nuovi sia dal punto di vista musicale che culturale, fanno di Vincenzo Di Betta uno dei principali protagonista dell’attuale rivalutazione della musica rinascimentale e barocca. Il suo lavoro, riconosciuto dalla critica a livello italiano ed europeo, propone un’interpretazione caratterizzata da una viva creatività ed entusiasmo, avvalendosi dei criteri filologici più aggiornati, riscoprendo degli inediti del repertorio rinascimentale e barocco, in particolare della scuola siciliana e romana. Intraprende gli studi all’età di dieci anni, suonando l’organo nella Cattedrale di Agrigento e praticando attività corale con il Coro C. Monteverdi di Porto Empedocle (Agrigento). Fin dall’inizio rivolge i propri interessi al repertorio della musica rinascimentale e barocca. Compiuti gli studi musicali in organo e canto a Zurigo e Palermo, dal 1997 inizia la collaborazione con lo Studio di Musica Antica Antonio Il Verso di Palermo e l’Ensemble Elyma di Ginevra, diretto da Gabriel Garrido, suo maestro ispiratore per la prassi esecutiva della musica barocca. Dal 2000 ad oggi ha collaborato con numerose fondazioni lirico sinfoniche. Nel 2006 riceve la nomina ad quinquennium di Maestro di Cappella del Pantheon S. Maria ad Martyres (Roma); dal 2005 ad oggi, è organista titolare della Chiesa di S. Andrea al Quirinale; nel 2009, viene nominato Cantore della Cappella Sistina da Papa Benedetto XVI, dove rimane fino al 2011. Nel 2010 ricostituisce con l’Ordine della Madre di Dio, la Cappella Musicale del Santuario Basilica di S. Maria in Portico in Campitelli di Roma. In tale occasione l’OMD lo nomina Maestro di Cappella e nello stesso anno Vincenzo Di Betta crea l’ensemble vocale e strumentale La Cantoria Campitelli. Alla direzione del suo ensemble vocale e strumentale LA CANTORIA Campitelli che ha fondato nel 2011, ha diretto il III Festival del 2013, La Cantoria Campitelli ha realizzato la prima esecuzione moderna della Messa de morti a cinque voci concertata del 1653 di Bonaventura Rubino, e per la XXI Stagione dei concerti di Musica Antica dell’Associazione Antonio il Verso di Palermo, nella Basilica di S. Francesco di Assisi in Palermo. A gennaio del 2016 a Malta, nell’ambito del Valletta International Baroque Festival 2016, riscuotendo critiche molto positive daparte della stampa specializzata. Tale Requiem è stato pubblicato dalla Tactus nel 2014. Nel 2015 ha eseguito la Missa in Angustia Pestilentiae di Orazio Benevoli del 1656, per sedici voci e Organo, in prima esecuzione moderna e trascritta in occasione della mostra Barocco a Roma. La meraviglia delle arti, tenutasi presso la Fondazione Roma Museo-Palazzo Cipolla, incisa dalla Tactus e di prossima pubblicazione.
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