la percezione di josquin desprez
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Nella storiografia musicale italiana tra XIX e XXI secolo

Quanto è importante celebrare il genetliaco di un compositore, sia che esso simboleggi l’esordio alla vita o la sua uscita dalla stessa, per le generazioni future? Il cinquecentenario della morte di uno dei maggiori musicisti della storia, Josquin Desprez (1440 – circa 1521), ci chiede di porre (o di riporre) mente, pur a volo di uccello, ad una ricognizione bibliografica che attesti non solo a livello estetico ma anche ideologico la considerazione di cui godettero, in diverse epoche storiche, la sua figura e, soprattutto, le sue musiche, chiesastiche e profane.

Quello che segue, ben lungi dal voler essere un panorama esaustivo (non a caso il lettore non vi troverà alcun accenno biografico), si propone di fornire all’appassionato e all’esecutore una breve antologia delle riflessioni – implicitamente definibili di natura estetica – che musicografi, critici e musicologi hanno indirizzato alle qualità creative dell’opera di Desprez negli ultimi due secoli.

Metodologicamente, citeremo a volo d’uccello le voci più originali dedicate al fiammingo da dizionari biografici o enciclopedici in lingua italiana nell’arco cronologico 1814-2006, opere diffuse e facilmente reperibili in grado di testimoniare quale e quanta fu la memoria storica che il nostro Paese, durante la cosiddetta età contemporanea, riservò a questo grande musicista.

Il primo studioso che, in concomitanza con il Congresso di Vienna, dedicò attenzione alle musiche di Josquin fu l’abate Giuseppe Bertini. Nel suo Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de’ più celebri artisti di tutte le nazioni sì antiche che moderne (Palermo, 1814-15), oltre ad un giudizio lusinghiero su Desprez, si delinea quanto consapevolmente l’arte dei suoni settecentesca si fosse distanziata dal suo modo di scrivere: «Heyden, Glareano, Zarlino, Artusi, Cerone, Zacconi, Berardi, Bononcini, e fin anco il P. Martini, a’ nostri giorni, lo citano a ciascun foglio: se oggidì non è più alla cognizione che di pochi eruditi, si è perché nello spazio di tre secoli, che sono scorsi dalla di lui morte, la musica ha subito infinite rivoluzioni: perchè generalmente i musici hanno pochissimo zelo di sapere tutto quel che riguarda la storia dell’arte loro» (p.219).

Pochi anni dopo, nel 1826, l’erudito Pietro Lichtenthal sembrava volere capovolgere quest’assunto nel suo Dizionario e Bibliografia della musica (pp. 95-96), trascrivendo il lusinghiero parere latino che di Desprez e degli altri autori quattrocenteschi franco-fiamminghi Hermann Fink aveva consegnato nella sua Practica musica (Wittenberg, 1556). La stagione del belcanto fece precipitare la considerazione delle musiche di Desprez in Italia. Ne è testimone il collezionista e lessicografo triestino Ettore Schmidl. Nel suo Dizionario universale dei musicisti (Milano, Ricordi, 1887-90, p. 129), Josquin compare come manifestazione effimera di una moda passeggera: «Ei levò difatti altissimo grido di sé in tutta l’Europa senza essere veramente quel grandissimo genio di tutti i tempi, come lo vuole il Kiesewetter, e la sua celebrità durò in complesso sino a tanto che un nuovo periodo di tempo non diede alla musica un indirizzo affatto diverso da quello ch’era il genere dell’epoca sua. La musica del suo tempo era tutta basata sui rigori del contrappunto e l’aridità del calcolo». Per sua fortuna, a Schmidl non erano sfuggite alcune caratteristiche scritturali destinate ad un luminoso futuro storiografico: «ciò non toglie però ch’egli fece fare un grande progresso all’arte musicale, specie nelle Imitazioni e nei Canoni» (p.129).

Nel 1892, la Storia della Musica di Alfredo Untersteiner, compendio pubblicato dall’editore milanese Hoepli, iniziava a risarcire il valore espressivo delle musiche di Desprez: «Il merito maggiore di Giosquino fu d’aver liberato la musica dalle esagerazioni della scolastica, d’averla ridotta a maggior semplicità e bellezza estetica, e d’avervi ispirato il sentimento artistico e severa ed energica maestà, non scevra da dolcezza e melodia» (p. 72). Egli proseguiva richiamando una citazione molto amata (anche dalla Breve storia della musica di Massimo Mila, Valsecchi, 1946, poi Einaudi, 1963 e successive ristampe): «Lutero dice di lui, che mentre gli altri compositori dovevano fare quello che le note volevano, egli faceva fare alle note quello che egli voleva».

Nel primo Novecento, complice l’influenza del Positivismo scientifico, iniziarono a fiorire gli studi archivistici che investigavano tra le carte delle Corti italiane le presenze dei maggiori musicisti quattrocenteschi: un lavoro importante anche se non scevro di accenti nazionalistici. Gaetano Cesari ascrisse alla ricerca di cosmopolitismo artistico l’assunzione di Desprez presso la corte del cardinal Ascanio Sforza (posizione asseverata nel 1961 da Claudio Sartori nella Storia di Milano); Guido Pannain, alla ricerca di nobili origini espressive per l’italianissimo “Princeps musicae” Giovanni Pierluigi da Palestrina, chiama originalmente quest’ultimo «il poeta della religione cattolica» mentre sostiene che egli «si riannoda alle tendenze polifoniche […] da Guglielmo Dufat e Gilles Binchois a Gioachino Des Près» (ed in questo sarà seguito dalla posizione critica espressa da Gustav Reese all’interno della monumentale Music in the Renaissance – opera uscita nel 1954 ma tradotta in italiano solo nel 1990 – e di Nanie Bridgman, nel capitolo sull’età di Johannes Ockegem e Josquin Desprez incluso nella New Oxford History of Music, apparsa in Italia nel 1964: «il segreto più riposto della sua arte va cercato nella profondità del sentimento religioso»).

Il Dizionario di Musica Paravia di Andrea Della Corte e Guido Maggiorino Gatti, opera enciclopedica di buon impatto didascalico (ebbe tre riedizioni e un aggiornamento tra il 1925 e il 1945), presta una significativa attenzione all’aspetto bibliografico delle opere di Josquin, segnalando sia le edizioni originali dei tre libri di messe e di mottetti sia le sopravvivenze manoscritte del corpus musicale di Josquin; interessante riscontrare come, all’interno della voce dedicatagli, si descriva la prima edizione a stampa dell’opera omnia di Desprez (pubblicazione curata da Albert Smijers per la Società olandese di dottrina della musica, il cui primo dei 55 volumi totali che la compongono vide la luce nel 1921, ovvero nel quarto centenario della morte del compositore).

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Rimangono da obliterare ancora due rilevanti posizioni critiche, nel dibattito storiografico su Desprez del secondo Novecento musicologico italiano: quella di Nino Pirrotta e quella di Claudio Gallico. La lunga consuetudine con il Quattrocento del primo culminò nella voce dedicata al compositore franco fiammingo apparsa all’interno del Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti (Torino, Utet, 1985). Trapela da essa una sostanziale revisione del preconcetto che ascriveva all’arte sacra (soprattutto alle Messe) la primazia nella graduatoria di merito delle opere di Desprez. Esse, sostiene infatti Pirrotta, muovono da citazioni melodiche che sono «in sé stesso un procedimento derivato dalla mus. Profana del tempo». L’altra personalità di rilievo negli studi italiani su Josquin è stata quella di Claudio Gallico. Nel quarto volume della Storia della Musica patrocinata dalla Società Italiana di Musicologia (Torino, Edt, 1978), egli attribuiva a Josquin una trasformazione epocale: «l’arte e l’atto del comporre, del trovare […] [era] diventata virtù di dar voce e risonanza al divenire di un’esperienza formativa, che il musicista vive direttamente». Se, in passato, Josquin era stato paragonato a Michelangelo da Cosimo Bartoli, la sociologica Storia della musica di autori vari (Torino, Einaudi 1988) lo avvicina a Piero della Francesca perché «i rapporti di somiglianza fra le voci sono resi chiari da un processo selettivo che semplifica ed economicizza i mezzi a disposizione, e vengono resi percepibili dall’uso sistematico delle imitazioni» (p. 82). Alberto Basso, nella sua Storia della musica dalle origini al XIX secolo (Torino, Utet, 2002-2006), riconosce infine – a ridosso della pubblicazione dell’importante monografia Josquin Desprez di Carlo Fiore (Palermo, L’epos, 2003) – come Desprez seppe «dare un volto “umano”» alla musica speculativa e artificiale dei suoi predecessori (p. 147).

E oggi, che altro fare per celebrare Josquin? Una strada è l’abbandono della carta. Investendo, come hanno fatto gli americani dell’Università di Stanford, in siti web ad alto livello di complessità e di interazione quale è www.josquin.stanford.edu. Qui le trascrizioni, corredate da files mp3, permettono di interpellare velocemente il materiale musicale, implementandone le risultanze con successivi interventi critici e diacritici, anche dall’esterno. Una multimedialità che deve essere preparata, mediata. Magari avvalendosi di qualcuno dei contributi che sono stati passati in rassegna in questo breve studio.

About Post Author

Paolo Cavallo

Paolo Cavallo si è laureato con il massimo dei voti, la lode e la dignità di stampa in Storia della Musica Moderna e Contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, sotto la guida di Ferruccio Tammaro. Dopo aver collaborato alla redazione del Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti curato da Alberto Basso, si è addottorato in Scienza del Testo Letterario e Musicale (XXIX ciclo) presso la Facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia/Cremona. È membro dell’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte.
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