le corone
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Le corone: A differenza di quanto comunemente si crede sulla base della tradizione scolastica e di numerosi trattati di teoria, peraltro rispettabilissimi, la corona non indica solo e soltanto un prolungamento della nota su cui è posta, e, anche in questo caso, essa non si può prolungare ad libitum, come si sostiene pedissequamente. Al contrario, come ci ha insegnato il grande direttore d’orchestra austriaco Hans Swarowsky, nel suo fondamentale libro sull’interpretazione musicale intitolato Wahrung der Gestalt ([Preservazione della forma] Universal Edition 1979), il segno di corona può assumere significati anche molto diversi tra loro, a seconda del contesto in cui si trova, ed anche quando significa un prolungamento della nota, solo ed esclusivamente in alcuni casi esso può essere a piacere. Il significato più antico della corona è probabilmente il raddoppio del valore della nota, significato che essa ha assunto forse dopo l’introduzione della notazione rotonda in opposizione a quella quadrata, ma oltre ad esso, questo segno ne possiede di ben altri e diversi, che ora qui cercheremo di chiarire con ordine.

CORONA DI FINE FRASE

Nel corale, la corona non indica affatto il prolungamento della nota, ma segnala la fine della frase o della strofa, indicando al cantore inesperto dove respirare. Come testimonia Swarowsky per esperienza diretta, quando Stravinsky dirigeva i corali di Bach, come ad esempio Vom Himmel hoch da komm ich her, batteva sempre un quarto aggiuntivo nelle battute che contengono una nota coronata, trasformandole quindi in battute di 5/4: 4/4 di musica e 1/4 di pausa-respiro. Nel Romanticismo purtroppo questo tipo di corona venne frainteso come corona di prolungamento, mentre i puristi hanno la tendenza ad accorciare la nota coronata: secondo Swarowsky, questa abitudine esecutiva, benché sia per alcuni versi indispensabile nella musica vocale, non sarebbe appropriata alla calma tipica del corale e dunque sarebbe più opportuno optare per la soluzione adottata da Stravinskij. Tuttavia l’inserimento di un quarto aggiuntivo forse non è del tutto indispensabile, purché si effettui un respiro calmo dopo la nota in questione, senza minimamente abbreviarla. Esempi di questo tipo di corona si ritrovano anche nel mottetto – non a caso di andamento completamente omofonico come se fosse un corale – O salutaris hostia di Josquin Desprez:

le corone le corone
J. Desprez, O salutaris hostia J. S. Bach, Vom Himmel hoch

L’ampliamento romantico della corona del corale ha portato più tardi alla composizione di gruppi di due o quattro battute, quando si inseriva un corale in forme sinfoniche, un vezzo che si riscontra spesso in Reger, e in modo molto evidente anche nell’Alleluja del Mathis der Maler di Hindemith.

CORONA PESANTE

La corona pesante indica invece che la nota sopra la quale è collocata riveste un particolare significato interno e che deve essere eseguita rispettando tale significato. Queste note, dette un tempo anche “note pesanti”, si riscontrano in particolare nei movimenti lenti o in parti di essi, e la loro durata non deve mai essere prolungata. Se capita di trovare questo tipo di corona in un Adagio, essa non va mai pensata come se prolungasse la durata della nota, poiché la sua funzione è invece quella di dare due indicazioni: la prima è che la nota ha un peso doppio (“debole – forte”); la seconda, che questa nota deve essere tenuta corrispondentemente al suo valore effettivo, quello scritto, perché equivale in sostanza all’indicazione “tenuto”. Questo tipo di corona è stato introdotto perché molto spesso, in un non-legato accordale, specialmente in tempo lento, gli esecutori tendono inconsciamente ad abbreviare i valori lunghi: per esempio, ad una minima tenderanno a togliere almeno un sedicesimo, ad una minima con il punto un ottavo etc. Questo tipo di corona veniva utilizzato allo scopo di evitare questi inconvenienti, e per accentuare l’importanza di una nota non mediante l’aumento di durata, ma grazie al suo peso (= “forte”). Un esempio molto evidente si ha nel tema introduttivo del primo movimento della Sinfonia nr.104 di J. Haydn: le corone nelle prime due battute non prolungano il valore delle minime, come dimostra la ripetizione del tema nel modo maggiore scritta senza corone (batt. 7-8, ma vedi anche oltre batt. 14-15), ma indicano che esse vanno tenute fino in fondo e che hanno un peso “forte”:

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Altri esempi evidenti sono gli accordi iniziali del primo movimento della Seconda Sinfonia e dell’ultimo movimento della Prima Sinfonia di Beethoven, ma anche nella letteratura vocale è possibile trovare esempi di questo tipo di corona:

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J. Haydn, Missa brevis S. Bernardi de Offida, Kyrie, batt. 112 e sgg.

Come dimostra il passo corrispondente dell’esposizione dell’Allegro moderato (batt. 13 e sgg.), ove già troviamo un periodo anomalo di sette battute, le corone sulla pausa di un quarto e sulla nota di tre quarti non vanno assolutamente prolungate, ma richiamano semplicemente l’attenzione dell’esecutore sulla precisa durata della pausa e delle note. Altri esempi istruttivi sono i seguenti:

J. Haydn, Missa brevis S. Bernardi de Offida, Credo, batt. 60

J. Haydn, Missa brevis S. Bernardi de Offida, Sanctus, batt. 1 e sgg.

Le corone sono poste esattamente sul termine delle frasi della melodia dell’antico corale (non a caso!), molto noto e riconoscibile all’epoca, affidata al contralto, su cui è costruito l’inizio del movimento. Notiamo inoltre che l’ultima corona (batt. 10) ha una duplice funzione: oltre ad essere fine, essa è anche corona di cambio di tempo, (come avviene anche alla fine della prima parte dell’Agnus, batt. 46.), per cui vedi infra.

CORONA DI CAMBIO DI TEMPO

Questa corona è stata usata in particolare dagli autori classici, soprattutto Haydn e Mozart, talvolta anche da Beethoven, anche se non mancano esempi precedenti. Utilizzata su note, ma talvolta anche su pause, essa ha la funzione di separare due parti di un brano che hanno un tempo o una battuta differente, allo scopo di permettere al direttore la possibilità di indicare il nuovo tempo ancora nell’ultima battuta del precedente, per mezzo di un levare in proporzione di tempo. Si vedano i seguenti esempi:

Josquin Desprez, Domine non secundum peccata nostra (tr. di L. Cataldi), secunda pars, batt. 42

Questa corona non indica evidentemente il prolungamento della nota, ma il fatto che nella batt. successiva inizia una nuova sezione in tempo diverso, con la proporzione minima = batt. intera.

Analogamente, alla fine di questa sezione batt. 61, troviamo un’altra corona che prepara il ritorno al tempo 2/2, sempre con la proporzione battuta intera = minima.

Come detto sopra, numerosi esempi si ritrovano in autori classici, sia in ambito strumentale che vocale: nell’Ouverture del Ratto dal serraglio, sull’ultima battuta alla breve, prima della sezione centrale in 3/8, la corona anticipa la scansione della battuta di tre ottavi (che sta in rapporto con la parte precedente di: semibreve = ottavo): in questo modo l’ultima misura alla breve viene già battuta in tre, per preparare agevolmente il nuovo tempo.

Così in J. Haydn, Missa brevis S. Bernardi de Offida, Kyrie, batt. 13, la nota di tre quarti con corona non va in alcun modo prolungata: piuttosto l’ultimo quarto va suddiviso in due ottavi che corrisponderanno precisamente ai quarti dell’Allegro moderato immediatamente successivo (Adagio: quarto = 60; Allegro moderato: quarto = 120):

Prima della nascita della figura del direttore, questa corona aveva carattere di preparazione, poiché allora i musicisti che componevano gli ensembles vocali e strumentali, avendo una formazione musicale più completa di quella attuale, erano perfettamente in grado di capire lo scopo di questi mezzi tecnici.

In certi casi, questo tipo di corona può essere scritto anche come pausa: un esempio evidente è la battuta di un quarto inserita alla fine dell’introduzione del primo movimento nella Sinfonia n. 104 di Haydn: questa pausa, apparentemente superflua dal punto di vista metrico, ci permette di battere un’intera misura vuota prima dell’Allegro successivo: infatti, Adagio e Allegro sono in proportio quadrupla fra loro e dunque il quarto dell’introduzione lenta corrisponde alla battuta intera dell’Allegro.

Anche di questo uso è possibile trovare un esempio nella letteratura vocale, tratto sempre dalla medesima messa haydniana, a batt. 119 del Credo:

La corona sulla pausa indica il cambio di tempo in proporzione tra l’Adagio in 3/4 e il successivo Allegro nella stessa misura. Anche in questo caso si suddividerà l’ultimo quarto dell’Adagio in due ottavi che corrisponderanno esattamente al quarto dell’Allegro successivo.

CORONA DI PROLUNGAMENTO

La corona di prolungamento prolunga una nota del doppio, del triplo, del quadruplo e così via, a seconda del contesto in cui si trova, non dunque ad libitum. Essa si riscontra solo in tempi veloci e in molti casi viene scritta per esteso dal compositore: se ne trova un esempio nel primo movimento della Quarta Sinfonia di Brahms (batt. 249-252 e 255-258), come si può vedere chiaramente dal confronto con l’inizio del movimento:

L’entità del prolungamento della corona-tenuto può essere definita esattamente solo dopo aver esaminato l’estensione dei gruppi di battute o del periodo complessivo in cui essa viene a trovarsi. Per esempio, la “pernacchia” nel Till Eulenspiegel di R. Strauss (batt. 370, quinta battuta prima della cifra 26) è un esempio di questo tipo di “longa”: come testimonia H. Swarowsky, secondo un’esplicita indicazione di Strauss, la nota coronata dev’essere tenuta quattro battute:

Infatti, come si può agevolmente notare, la frase precedente, che insiste sulla ripetizione della cellula iniziale del tema, è di quattro battute, così come la seguente che porta al cambio di tempo in 2/4: pertanto è necessario che anche la corona venga a formare un altro gruppo simmetrico di quattro battute:

Un altro bell’esempio di corona-tenuto è la quarta battuta nel primo tempo della Pastorale di Beethoven: in questo caso l’unica possibilità è lasciare la quarta battuta senza corona o attribuire alla corona il valore di tre battute.

 

Infatti, se essa avesse il valore di due battute, si formerebbe un gruppo di cinque battute che sarebbe decisamente fuori posto, mentre, poiché questi gruppi hanno tutti due o quattro battute, per completare le prime tre, si può pensare solo a un gruppo di tre battute che porti il totale a sei. La dimostrazione di ciò si trova nella ripresa (batt. 279 e sgg.), dove Beethoven scrive per esteso la corona come trillo di tre battute e la amplia con un’improvvisazione di altre quattro, interpretandola quindi in due maniere diverse:

Molto interessanti sono le corone nel primo movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven: queste corone hanno ogni volta (eccetto che a batt. 268) un valore di quattro battute, l’ultima delle quali è una battuta di cesura che si completa con il levare successivo. Lo strumento che attacca dopo la seconda corona (II violino), dopo il levare ha una legatura di valore di tre battute, e alla quarta battuta di nuovo un levare. La nota di tre battute rispecchia chiaramente la durata della corona della prima battuta (in battere, dopo la battuta iniziale che è un levare), che il compositore realizza nella scrittura, senza lasciare adito a dubbi. Dal punto di vista della tecnica direttoriale, l’incipit di questo movimento, (numerando le battute periodicamente, e riassumendo ogni gruppo di quattro battute in una battuta di quattro metà, risulta un periodo di quattro battute intere nello schema di quattro quarti), si struttura come segue:

[notiert = notazione

ausgeführt = esecuzione

dirigiert = direzione

Auftakt = levare]

Come ricorda Swarowsky, purtroppo ben pochi sono a conoscenza del fatto che la quarta battuta non esisteva nella versione primitiva dell’autografo: Beethoven la inserì solo dopo la stampa della prima edizione, facendo ritirare dalla circolazione e addirittura distruggere le copie già stampate. Al giorno d’oggi è noto un solo esemplare di questa edizione originale, in cui manca la battuta 4, custodito al British Museum, nel Fondo Hirsch. Questa è una prova aggiuntiva che la battuta della corona deve avere sempre la stessa lunghezza: non avrebbe alcun senso altrimenti prolungarla mediante una battuta che non cambia assolutamente nulla, né dal punto di vista ritmico, né da quello armonico. Il motivo che spinse Beethoven ad inserire questa battuta fu probabilmente la volontà di aumentare l’importanza del secondo motivo e creare un effetto di conclusione che unisse i due gruppi, mediante l’estensione del secondo gruppo di battute da quattro a cinque. Per quanto riguarda la tecnica direttoriale, secondo Swarowsky è assolutamente opportuno battere per esteso le corone di raddoppiamento non-conclusive, come quella del primo movimento della Settima Sinfonia di Beethoven (batt. 88):

La fine di una corona interna avrà luogo con un segno di avvertimento, detto da Swarowsky “aviso” e con un “levare”. Per esempio, nel caso di una battuta di quattro quarti, si tengono l’uno e il due, si passa poi senza interrompere la corona al tre (aviso) e si chiude la corona sul quattro (levare o cesura), per battere subito l’uno successivo. Nelle corone in piano basta un semplice levare senza aviso, come per esempio in Beethoven Quinta Sinfonia, terzo movimento, batt. 8 e sgg.

Anche in brani corali è possibile trovare esempi di corona di prolungamento. Si veda per esempio, sempre in Beethoven, la corona di batt. 330 dell’ultimo tempo della Nona Sinfonia:

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Analizziamo rapidamente i gruppi di battute precedenti: a 321-323 abbiamo evidentemente un gruppo di quattro, immediatamente seguito (324-327) da un altro sempre di quattro (2 + 2); ne consegue dunque che la sezione deve concludersi con un altro gruppo di quattro, ottenuto prolungando di due battute intere il possente accordo che occupa la batt. 330, sul quale infatti Beethoven indica “molto ten.”. Un’altra soluzione possibile sarebbe quella di prolungare di altre quattro, ottenendo un gruppo di sei, il che aumenterebbe l’effetto di grandiosità, ma altererebbe forse l’equilibrio delle frasi.

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Un altro esempio si trova a batt. 594 a conclusione della sezione in 6/8 sul quarto di pausa. In questo caso, essendo le frasi precedenti tutte di otto battute, ne consegue che anche quest’ultimo gruppo di quattro (591-594) va raddoppiato portandolo a otto.

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Ancora un esempio tratto sempre dall’ultimo movimento della Nona Sinfonia: la corona sulla minima di batt. 653. Come regolarsi in questo caso? In precedenza vi sono gruppi regolari di quattro battute; segue poi un gruppo anomalo di tre (batt. 647-649), seguito da un gruppo di cinque (650-654): è opportuno dunque prolungare quest’ultimo fino ad otto, aggiungendo quindi tre battute, visto che in precedenza prevalgono gruppi di quattro battute.

Un ultimo esempio è la corona di batt. 762: il gruppo di cinque battute che risulterebbe da 758 a 762 va sicuramente portato anch’esso a otto, per salvaguardare la simmetria con le frasi precedenti, tutte di quattro battute, prolungando anche qui la corona di tre battute.

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Daniele Lutterotti

Daniele Lutterotti, parallelamente agli studi classici e universitari, si è diplomato in musica corale e direzione di coro presso il Conservatorio di Bologna, in composizione presso il Conservatorio di Bolzano sotto la guida del m.° Heinrich Unterhofer e successivamente si è laureato in composizione presso il Conservatorio di Trento sotto la guida di Leonardo Polato. Svolge da anni attività di direttore con l’Ensemble vocale Nicolò d’Arco, gruppo specializzato nell’esecuzione di musica rinascimentale e barocca, con il quale ha partecipato a importanti rassegne e festival. Ha studiato canto con Lia Serafini, figura di riferimento per la vocalità antica in Italia e all’estero.
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