siamo in sospeso
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Siamo in sospeso. Noi, come tutte le attività lavorative – eccetto quelle considerate essenziali per la sussistenza e quelle aggregativo/ludiche, non cantiamo più insieme da mesi. Non più prove una o due volte alla settimana, non il canto liturgico durante la Messa, saltati i concerti, in sospeso tutti i progetti futuri, a lungo pensati, discussi e sperati. I passati concerti, le nostre trasferte diventati ricordi struggenti, che fanno bene e male al cuore.
Tutto ciò che è fatto sembra poi così distante, come di esperienze fatte da altri, o su un altro pianeta, o in un altro secolo. Come appaiono oggi diverse anche le fatiche,  i momenti di crisi personale, gli allontanamenti di uno e dell’altro, i nuovi ingressi,  pezzi di vite e di altri cori che abbiamo attraversato, le morti la cui voce abbiamo amato.
Come ci manca questo, come ci manca tutto.
In questa nostalgia,  in questa Sehnsucht, mi viene da pensare che posizionare l’esperienza di coro nelle attività non direttamente correlate alla sussistenza sia un errore.
“Non di solo pane vive l’uomo”, dice la Sacra Scrittura.
Di cosa ha bisogno l’uomo per vivere dunque? Abbiamo scoperto che l’uomo necessita degli altri esseri umani, della loro compagnia. La solitudine a lungo porta all’inasprimento e all’inedia.
Anche il solista sta dentro alcune battute, e necessita di accompagnamento strumentale o di un coro con cui dialoga, o un’assemblea a cui si consegna.
L’uomo ha poi bisogno di identità, di essere riconosciuto come unico e prezioso. Amato per quel timbro irripetibile. Nel coro siamo formati a dare ognuno il proprio contributo personale. Mi posso appoggiare a te, ma non mi puoi sostituire.
L’uomo ha bisogno di alcune regole, perché mai come adesso abbiamo imparato che la comunità umana è una cosa sola, e il gioco delle libertà reciproche non è affare personale.
Occorre infatti una certa distanza tra i coristi. Occorre una certa posizione per cantare bene. Ci sono regole per chi fa musica, pena uno scadimento dell’esecuzione.
Ma la cosa che più mi colpisce è che l’emissione vocale, che nasce dalle profondità delle viscere – tecnicamente i muscoli diaframmatici e l’aria presente nei polmoni – è esattamente la parte incriminata, mortifera e mortificata di questa epidemia. Il contagio è nelle particelle di acqua e aria provenienti dalle vie aeree. Noi, attraverso questo strumento facciamo le cose che ci fanno vivere, come respirare,  e cose che ci identificano come esseri evoluti, cioè il  parlare.
Ma anche ciò che la Bibbia riconosce come ulteriore caratteristica umana,  l’unica che ci viene detto possa essere fatta per sempre, in aeternum cantabo.
Non è solo quella voglia che prende un po’ tutti di canticchiare, di vocalizzare sotto la doccia, o per farsi compagnia in una strada solitaria.  Nel canto vengono impiegate moltissime facoltà umane, ma soprattutto esprimiamo una parte profonda e intima, vicinissima anche per anatomia, al cuore. Nel canto non bariamo, siamo profondamente noi stessi. Per questo a volte è impegnativo, e difficile, e alla base della carenza di coristi nei cori: cantare è un percorso di ricerca profonda, esattamente come la vita.
E un coro, io credo, è per la vita. Non vederci per cantare in questo periodo è come non vedere uno di famiglia.
Molti cantanti cantano in più cori, oppure lungo l’esistenza ne cambiano diversi.
Ma il coro del cuore, quello anche strampalato, o che in alcuni momenti hai davvero voluto eliminare e abbandonare, è uno solo. Come la rosa del piccolo principe.
Ritorneremo a cantare insieme, come ritorneremo a vivere, anche se in modi e tempi diversi. Come Gianni ha scritto: negli spartiti ci sono anche le pause, e come coristi sappiamo che anche le pause sono musica. Pregando che dopo questa epidemia “Ci ritroviamo alla fine”, pregando chi del nostro coro  è già nel cielo a cantare in eterno.
Guardiamoci il meraviglioso film che è Wie in Himmel: scopriremo quale meravigliosa avventura ci è capitata a stare nel nostro coro!
E confermeremo che l’attività corale va rimessa dove sappiamo, oggi meglio, che deve stare: tra le esperienze necessarie alla sussistenza.

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